Nei panni degli altri


“Mettersi nei panni degli altri” – “nelle scarpe” per gli anglosassoni – è praticamente la religione di stato del buonismo. La frase descrive uno strumento di tipo “empatico”: l’uso di assumere, o far assumere, il punto di vista dell’interlocutore come una tecnica di persuasione. Il credo empatico è talmente radicato che lo si dà per scontato, senza esaminarlo.

“Se riesci a comprendere, a sentire, la mia visione del mondo allora dovrai per forza abbracciare la mia opinione”. 

Ma la tecnica funziona davvero? C’è una nuova e interessante ricerca i cui risultati suggeriscono che spesso ottenga esattamente l’opposto del risultato desiderato, facendo irrigidire le opinioni dell’interlocutore anziché ammorbidirle. Lo studio – Perspective Taking and Self-Persuasion: Why ‘Putting Yourself in Their Shoes’ Reduces Openness to Attitude Change, di Rhia Catapano, Zakary Tormala e Derek Rucker, i primi di Stanford e il terzo della Northwestern University – è stato fatto attraverso tre indagini compiute su un campione totale di 2.734 persone. I ricercatori – che amano molto il gergo sociologico – trovano che “assumere la prospettiva di qualcuno che sostiene una visione controattitudinale abbassa la ricettività di quella visione e riduce il cambiamento d’attitudine” – cioè, mettersi temporaneamente nei panni di un’altro può benissimo rafforzare anziché diluire l’opinione contraria.

Attribuiscono l’effetto al meccanismo della “congruenza dei valori”: “Individui che prendono la prospettiva dell’opposizione si trovano a concepire argomenti non congruenti con i propri valori, diminuendo la ricettività al cambiamento d’opinione”…Concedono che l’effetto “è attenuato quando le persone prendono la prospettiva di qualcuno che mantiene un’opinione controattitudinale, ma possiede un corredo di valori simili”. Per dire, va meglio quando predichi ai correligionari.

(FONTE, Il mercoledì di Rochester)


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