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Guardare ad Est


A un anno dall’inizio dell’invasione russa, la guerra in Ucraina sta accentuando i suoi effetti di polarizzazione nel mondo. La guerra fa danni a tutti e molti Paesi si chiedono se per salvare l’Ucraina si debba soffrire. Altri Paesi, i baltici, la Polonia, gli ex satelliti dell’URSS, i Paesi del Nord Europa, temono invece la crescita degli appetiti imperiali di Putin. Se non sarà sconfitto, si fermerà all’Ucraina?

La situazione sul terreno è, almeno apparentemente stabile, nonostante la crescente pressione militare di Mosca.

Putin ha concentrato un milione e mezzo di uomini sul fronte e i bombardamenti su obiettivi civili e militari ucraini sono senza sosta.  Il Paese è devastato e ridotto a un cumulo di macerie, specie nelle regioni orientali.  Le truppe ucraine resistono e contrattaccano. Le perdite, da ambo le parti, sono altissime, ma non fanno più impressione.

Fanno più impressione gli oltre 46.000 morti per il sisma fra Siria e Turchia. Sarà, forse, perché alle guerre siamo abituati e ai terremoti devastanti no. Ma sempre morti sono.

Tutti parlano di pace, ma se ne parla a sproposito: la Russia non è sfibrata dalle sanzioni e l’Ucraina non intende mollare. Putin deve prevalere e Zelenski deve vincere. Su queste basi è inutile parlare di negoziati. L’Occidente si rasserra attorno agli Stati Uniti che sono il vero antagonista, sulla pelle degli Ucraini.

Ma il fronte internazionale si sta muovendo. La grande incognita è la Cina, rimasta fuori dal conflitto, pur manifestando una certa simpatia verso Mosca. Segnali contraddittori vengono da Pechino.

La Cina ha promesso, per bocca del suo Ministro degli Esteri, un documento di pace da proporre ai due contendenti nel quale, però, si ribadisce l’inviolabilità dei confini e della sovranità nazionale, cose che difficilmente Putin potrà accettare e che sono i cardini delle richieste ucraine.

 D’altro canto, pare che la Cina sarebbe intenzionata a fornire droni e altro materiale bellico alla Russia, il che la schiererebbe, di fatto sul fronte opposto a quello degli Stati Uniti.

Non a caso Washington minaccia gravissime ritorsioni. Dopo l’incidente del pallone aerostatico cinese sui cieli americani, le posizioni sono molto distanti. Fornirà armamenti la Cina alla Russia? Ciò significherebbe controbilanciare la fornitura di armi occidentali all’Ucraina, ma sarebbe anche una dimostrazione dell’insufficienza militare russa, peraltro già evidente in una guerra sbagliata in base a previsioni errate.

Aumentare le tensioni con la Cina significherebbe coinvolgere Taiwan, un punto estremamente sensibile per Pechino. Tutto il fronte del Pacifico è in fermento da tempo, anche per l’espansione cinese sul mare, con le isole artificiali, e il contrasto per la sovranità su alcuni arcipelaghi con il Giappone, l’Indonesia, il Vietnam, le Filippine e, da ultimo, con gli stessi Stati Uniti. Il contemporaneo rafforzamento della flotta cinese non è un buon segno per il futuro, anche per l’India, che sta facendo altrettanto per contrastare la Cina.

La Cina, in questo momento, è al centro dell’attenzione mondiale perché è l’unico gigante fuori dal conflitto e ha un peso negoziale enorme. E anche una grande responsabilità. Ciò spiega la grande cautela della diplomazia cinese.

La minaccia nucleare più volte adombrata nei discorsi di Putin è nettamente respinta da Pechino che vuole non una moratoria nucleare ma l’estinzione totale di questa possibilità. La sicurezza con la quale il Pentagono si muove in materia, sostenendo che quelle russe sono minacce fasulle, non convince affatto. Messo alle strette, Putin può ricorrere all’arma nucleare. Ciò significherebbe la guerra, una guerra ben più devastante di quella attuale, che spargerebbe i semi della morte su tutto il pianeta.

Il vero deterrente, però, è che su un territorio devastato dalle radiazioni non si entra più per un periodo di tempo indefinito. Un’Ucraina incenerita farebbe gioco a Putin?  Nel contempo, cosa accadrebbe alle città russe per l’inevitabile reazione nucleare occidentale? I costi sarebbero troppo elevati.

Intendiamoci: morti per radiazioni o per missili l’effetto non cambia, ma muta la dimensione del disastro. Per ottenere che? Poche centinaia di migliaia di kmq per una Russia che ha più di 17 milioni di kmq di territorio con un’intera Siberia da sviluppare?

La stupidità di questo conflitto poggia sulle falsità storiche premesse da Putin all’inizio dell’invasione e sulla convinzione di un ruolo purificatore della Russia ortodossa nei confronti di un Occidente depravato. In questo si trova in buona compagnia con la teocrazia iraniana che proibisce l’uso della cravatta, perché espressione di decadentismo occidentale, e con il regime talebano che condanna l’uso dei jeans.

Andando più oltre, sappiamo cosa potrebbe accadere all’Europa orientale se l’Ucraina dovesse cedere alla preponderanza russa. Le recenti manifestazioni dei filorussi in Moldavia sono un prologo di ciò che potrebbe accadere se la Russia prevalesse in Ucraina. Ma nel caso contrario, cosa accadrebbe a una Russia sconfitta? Un’implosione gigantesca che rimescolerebbe le carte in Siberia e nell’Asia centrale. Altre tensioni, altri conflitti, altri morti.

Mai, forse, il mondo è stato così vicino ad un imprevedibile riassetto degli equilibri mondiali mentre i problemi ambientali si fanno sempre più pressanti, minacciando le colture agricole da cui dipendono miliardi di vite umane.

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