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Il vertice di Samarcanda

Si é recentemente tenuto a Samarcanda, nell’Uzbekistan, un vertice dell’Organizzazione degli Stati turcofoni che è passato quasi sotto silenzio, dato l’affollamento, in questo periodo, di numerosi consessi internazionali.

Si tratta di qualcosa di molto importante per l’attivismo della Turchia che aspira ad emergere come nuova media potenza mondiale e per il palese interesse degli Stati turcofoni centroasiatici, costituitisi dopo il distacco dall’ex Unione sovietica. Si tratta, oltre alla Turchia, di Uzbekistan, Azerbaigian, Kirghizistan, Kazakistan (tutti Paesi di transito della Via della Seta), cui si sono aggiunti, come osservatori, il Turkmenistan e l’Ungheria.

La cintura dei Paesi turcofoni centroasiatici collega la Turchia alla Cina, il che spiega l’importanza delle decisioni politiche prese. Inoltre, la turcofonia è lo strumento con il quale la Turchia rivendica il suo secolare primato culturale su questi Paesi, preconizzando una specie di Commonwealth turcofono che potrebbe esercitare un ruolo importante nella politica mondiale.

Ciò che è emerso dal vertice di Samarcanda è una “Visione mondiale turca – 2040” per la quale è stata adottata una “Strategia quinquennale dell’organizzazione degli Stati turchi”, Paesi che comprendono una regione con più di 170 milioni di persone, unite da una storia, una lingua e una cultura comuni.      

Il vertice di Samarcanda, presieduto dal Presidente uzbeko Shavkat Mirziyoyev, ha affrontato i temi dei compiti dell’Organizzazione degli Stati turchi e le prospettive di un’espansione della cooperazione a livello regionale, sottolineando l’importanza della lingua e della cultura che affondano le loro radici nella storia e nella cultura turca, auspicando “una nuova era della civiltà verso il progresso e la prosperità comuni.”

            Il primo punto sollevato è stato quello commerciale, proponendo di rafforzare le attività commerciali ed economiche dei Paesi membri il cui commercio reciproco costituisce solo il 4% del commercio estero totale. Per ovviare a questa situazione l’Uzbekistan ha proposto la creazione di uno “spazio di nuove opportunità economiche”, organizzando, tra l’altro, un Forum economico internazionale turco che coinvolga gli Stati membri e gli Stati osservatori nonché i principali rappresentanti delle imprese mondiali, adottando delle Road Maps annuali incentrate sull’attuazione di programmi e progetti comuni ed istituendo un fondo di investimenti congiunto.

Il secondo punto è stato quello di rafforzare la rete dei trasporti interstatali (il corridoio internazionale transcaspico), creando una moderna infrastruttura di trasporto soprattutto in funzione del mercato agricolo e alimentare mondiale.

Il terzo punto è stato quello relativo al rafforzamento della sicurezza nella regione, sviluppando la cooperazione nei settori della lotta al terrorismo, dell’estremismo, della radicalizzazione dei giovani, del traffico di esseri umani e di droga, garantendo la sicurezza pubblica e informatica.

Buona parte dei Paesi turcofoni già partecipa alle attività dello SCO, creando una saldatura complessiva anche formale tra Russia e Cina, presenti nello SCO, e la Turchia, che è politicamente e culturalmente prevalente in questa nascente comunità turcofona.

Si sta delineando un nuovo assetto geopolitico centrasiatico di grande importanza.

I Paesi centroasiatici dell’ex Unione sovietica cercano un appoggio nel mondo esterno per attenuare il peso dell’onnipresente Federazione russa con la quale i legami economici e culturali sono ancora piuttosto forti. La presenza della Turchia garantisce loro di svincolarsi dall’abbraccio soffocante di Mosca che permane, nonostante tutto.

La dissoluzione dell’Unione sovietica è stato un fattore geopolitico che ha evidenziato l’importanza della Turchia nei confronti dei nuovi Paesi transcaucasici e orientali formatisi dopo l’implosione sovietica. Buona parte di questi Paesi, infatti, sono di lingua turca. Culturalmente questa potrebbe essere una grande occasione per il sempre sognato ritorno sulla scena mondiale dell’influenza culturale e religiosa islamica di matrice turca.

            Azerbaigian, Kazakistan, Kirghizistan, Turkmenistan e Uzbekistan parlano una lingua molto affine al turco. La turcofonia però è molto più estesa, specie tra le piccole Repubbliche nell’ambito della Federazione russa (Altai, Baschiria, Ciuvascia, Khakossia, Yakutia, Tatartstan, Tuva). Inoltre, la lingua turca è riconosciuta come seconda lingua ufficiale (il russo è la prima) in Daghestan, Cabardino-Balcaria, Karakay-Circassia. Nella Moldavia sussiste nella Gaugazia (fra i Turchi cristiani di ceppo oghuz) e nella Cina popolare, nella regione del Xinjiang.

            Le lingue turche, che hanno un riconoscimento ufficiale in tutte le nazioni e le regioni autonome turcofone, sono parlate da più di 200 milioni di persone e la cultura turca è più viva che mai. La comunità turcofona si estende, in pratica, dal Mediterraneo alla Cina.

Non ha ancora una valenza politica ma nel tempo potrebbe assumerla e l’inevitabile leadership non potrebbe essere altra che della Repubblica turca. Questo spiega molto delle apparenti ambiguità di Erdogan, membro della NATO, amico della Federazione russa, in buoni rapporti con la Cina ma alla ricerca di uno spazio proprio, schiacciato dai suoi grandi vicini.

Uno scivolone pericoloso

La contesa con la Francia per gli emigranti non ci voleva proprio. È stato un grave errore che rimette in discussione la posizione italiana in Europa.

Vecchie regole internazionali e interessi nazionali confliggono tra loro.  I sovranismi reciproci (non solo l’Italia e il suo attuale governo sono tacciabili di sovranismo) traggono alimento da un canto, dall’egoismo di chi sta bene e non ama e non vuole chi sta peggio e, dall’altro, dall’obiettiva difficoltà, nell’emergenza, di assicurare un’accoglienza accettabile.

Si sostiene, spesso, che Germania e Francia hanno accolto ben più profughi dell’Italia. Si dimentica, però, che Francia e Germania sono Paesi con un’estensione e una popolazione maggiori. Fatte le debite proporzioni, non c’è molta differenza. Quindi, questo è un argomento non valido. A ciò si aggiunga che la nostra economia non è così forte, come la loro, e che pandemia e crisi finanziaria hanno inciso in modo molto più nefasto in Italia che altrove, data la nostra debolezza strutturale.

Sono considerazioni ovvie come è ovvio che la questione dei flussi emigratori è stata e sarà sempre di più, in futuro, un terreno di scontro.

Di fronte al fenomeno delle migrazioni, politiche od economiche che siano, da quasi un decennio si discute in Europa senza venire a capo di nulla.  È uno dei tanti “buchi neri” della non politica europea. Il risultato è che i Paesi del Nord, lontani dal Mediterraneo, non hanno alcuna intenzione di accogliere i profughi, Germania e Polonia hanno ingoiato milioni di Turchi, Ukraini e Siriani, qualcuno ha chiuso le frontiere (come l’Ungheria) e gli altri Paesi rivieraschi del Mediterraneo devono sbrogliarsela da soli.

La legge del mare impone il salvataggio dei naufraghi che dovrebbero essere sbarcati nel primo porto considerato “sicuro”. Di lì, poi, dovrebbero essere smistati in base alla loro qualifica e, cioè, se profughi politici od economici.  In teoria, i politici dovrebbero essere accolti e quelli economici o assorbiti (se interessano, come i Turchi in Germania), o rispediti indietro.

Rispedirli indietro, però, è impossibile. A parte il fatto che, in genere, sono sprovvisti di documenti d’identità, i costi per il rientro sono enormi, i Governi di origine non li vogliono e i profughi non intendono rimpatriare. Questa è la situazione.

            Ma, al di là delle cifre e delle regole, questa gente comunque disperata non è una colonna di numeri. Sono persone, con i loro affetti, le loro speranze, le loro famiglie.  Non possono essere considerate solo dei numeri o delle percentuali. Il problema non è né giuridico né politico, è umanitario.

Le frontiere marittime europee sono tali che l’onda dei profughi che si riversa sui Paesi europei del Mediterraneo non può essere contenuta con sofismi giuridici e tanto meno, con la forza. In un certo senso, è una calamità imprevedibile nei numeri ma prevedibile nelle circostanze.

Il fatto è che sull’immigrazione ci mangiano tutti: i trafficanti di carne umana, i mediatori, gli aguzzini dei campi d’asilo improvvisati frettolosamente in Africa, le ONG, che fanno da taxi, previo appuntamento, per imbarcare i profughi che, spesso, sono anche naufraghi. E di profughi ne muoiono a migliaia in mare, uomini, donne, vecchi e bambini. È una tragedia collettiva che dovrebbe impegnare tutta l’Europa, punto di approdo delle speranze di questa gente. Ma concretamente, non si fa nulla. È come ai tempi della pirateria. La condannavano tutti ma i pirati continuavano ad assalire le navi e a fare i loro commerci e, spesso, i governi ci guadagnavano sopra.

Tutti si restringono nel loro nazionalismo egoista che, come tutti i nazionalismi, guarda solo al presente e fa finta che si tratti sempre di emergenze e non di un cambiamento strutturale.

Lo scontro franco-italiano è lo scontro fra due sovranismi, arricchito da 500 poliziotti stesi a tutelare la frontiera francese con l’Italia. Macron è un democratico, liberista, europeista d’indubbia fede, per questo virilmente osteggiato da Marina Le Pen. Se, invece di Macron al governo di Parigi ci fosse stata la destra, certamente nazionalista e sovranista, avrebbero schierato l’esercito sulle Alpi?

Indubbiamente, il governo italiano ha creduto di avere una sponda favorevole a Parigi, dopo l’incontro Meloni-Macron, senza valutare le difficoltà della politica interna francese. Una leggerezza pericolosa. Non sono tanto i poliziotti sulle montagne a preoccupare per questo scivolone quanto l’appello di Macron agli Stati europei di stare in guardia nei confronti dell’Italia, che accusa di scarso senso di umanità.

I Francesi, infatti, che sono molto più umani di noi, in questa squallida sceneggiata si sono presi i 200 profughi sbarcati a Tolone ma, per ripicca, hanno sospeso i permessi regolari già accordati per il passaggio in Francia dall’Italia di circa altri 2.000 rifugiati. Insomma, nella faccenda, ci hanno pure guadagnato.

In Europa, per tutta una serie di motivi facilmente comprensibili, abbiamo bisogno di unità e di fruire di tutte le possibilità offerte dall’Unione europea, soprattutto per il Fondo Sociale e il PNNR. Ricucire lo strappo sarà molto difficile.

La debolezza genetica della nostra politica estera continua a dare i suoi frutti. Possibile che l’Italia non sia in grado di creare un fronte mediterraneo in grado di opporsi alle contestazioni francesi e di stimolare l’avvio di un dibattito serio sulla politica che, finalmente, l’Unione europea dovrebbe avere sull’immigrazione?

Quando il tennis è anche… più che “anta”!

C’è un luogo virtuoso in un paese virtuoso: un club del tennis ad Aci Bonaccorsi, in provincia di Catania.

Aci Bonaccorsi è un paese balzato agli onori della cronaca, per la pulizia, l’ecosostenibilità, la differenziata all’80%, niente palazzoni e perfetta gestione del territorio, tanto da essere denominato: la Svizzera di Sicilia. Merito del Sindaco Vito Di Mauro e dei cittadini tutti.

In questo paese ideale mi onoro di frequentare un luogo, un club del tennis, nel quale regna un’atmosfera di benessere e serenità come quella del comune che lo ospita.

Grazie ad Alfio, uomo appassionato del tennis come della vita, il club si distingue per una grande armonia che lega chi lo frequenta. 

Soprattutto al mattino alcuni cultori di questo sport, antico di secoli e sempre nuovo, si avvicendano organizzandosi con estrema maestria ed accogliendo i nuovi arrivati con entusiasmo.

L’età è un preconcetto per uno sportivo. Soprattutto per chi ha giocato a tennis dall’età di 12 annni, come Almerinda, napoletana doc, sorriso smagliante, allegra, esuberante. 

E Carlo, elegante, misurato, che ha ripreso dopo diversi anni di pausa, disponibile a palleggiare con tutti, a consigliare, ad accogliere.

Il tennis insegna regole, fissa tempi, allena il corpo ma soprattutto la mente. Giocare all’aria aperta è impagabile, soprattutto in un luogo verde, dove gli alberi ti sono amici e ti proteggono dal solleone, con le loro braccia.

Vitalità, comunicazione e socializzazione sono le caratteristiche di questo gruppo “del mattino”! 

Accoglienza la parola d’ordine e se tra una partita e l’altra ci scappa pure …il pane “cunzato”…la giornata diventa Super! 

Gli “amici” si vedono nel momento del dolore?

Desidero sfatare un luogo comune: “Gli amici si vedono nel momento del dolore”.

In molti risponderebbero subito: “Ma certo, è logico. I veri amici ti stanno vicino nel dolore, nella tristezza”. E invece io penso che non sia così. Io sostengo che i veri amici si vedono nella gioia. 

Per “gioia” non intendo salire sul carro del vincitore, condividere ricchezze e amenità, ma empatizzare con quella gioia pura, quelle gratificazioni che assicurano attimi di felicità, sorrisi smaglianti che bloccano il viso, come se ti fossi sottoposta al botulino!

Come quando scopri che quel borgo marinaro, che hai scelto col cuore, è sede di un tramonto col sole dentro il mare. Appena ne prendi atto cominci ad esultare come nei tuoi dieci anni, all’arrivo della casa di Barbie. 

Quella gioia che nasce da un amore corrisposto, da figli amorevoli, dai loro successi, dalla nascita del tuo nipotino.

Ecco, quella gioia del cuore che ti fa amare la vita, il mondo, gli esseri umani tutti e le situazioni più insopportabili. 

Quando la vita ti offre questa gioia, per un progetto realizzato, un successo personale o di squadra, una piccola o grande gratificazione, tu la comunichi alle persone più care, perché condividere è la vera ricchezza.

Pensi di trasmettere la tua gioia e di riceverne, eppure qualcuno nicchia, non riconosce i tuoi meriti, prova rabbia, invidia, delusione perché non ha saputo fare altrettanto.

Gli amici non riescono a gioire insieme a te, qualcuno si allontana.

Non è facile essere vicini nella gioia, il pietismo è più semplice, confortare il debole rende forti, la miseria umana altrui fa dimenticare la propria.

Gioire per l’altro è da persone equilibrate, sicure, con autostima.

Ma si può migliorare. 

L’invidia può diventare sana se i successi degli altri vengono visti come moniti, spunti, progetti.

Abituarsi a lodare chi consegue buoni risultati, sviluppa il concetto di meritocrazia e getta le basi per potenziare studi, sacrifici, gavetta.

Infine il vero segreto è rispettare l’altro, sminuirne il valore non aumenta il tuo.

Lettera a un Premier

Gentile signora,

in questi giorni difficili devo dire che ha tutta la mia comprensione per la cautela con la quale si accinge a un compito estremamente difficile e, ancora di più, apprezzo la sua fermezza. In realtà l’Europa e l’Italia sono in guerra, una guerra non dichiarata ma i cui effetti sono visibili a tutti. Non si può scherzare sulla guerra.

Mi permetta di farle alcune considerazioni pacate. Non intendo certo darle dei consigli non richiesti. Lei ha la fortuna di essere giovane e mi dà l’impressione di crederci in quello che fa. È quasi inaudito.

La gravità dei problemi che affliggono il Paese dovrebbe unire tutte le rappresentanze parlamentari per darle il supporto necessario. I provvedimenti di emergenza (inutile farne un elenco) che dovrà attuare saranno più o meno gli stessi che i suoi avversari, al suo posto, adotterebbero. L’opposizione, per questo, non dovrebbe impensierirla più di tanto.

Però, ci sono alcuni “buchi neri” nel nostro sistema di cui non si parla mai o quasi mai, come se fossero una maledizione ormai accettata. Mi permetto di segnalarli.

Il primo, sono le morti sul lavoro, due o tre al giorno. Una cosa impossibile.  Non si è fatto mai nulla, tranne le solite chiacchiere. Occorrono leggi severe e controlli effettivi. Non si deve morire per portare il pane a casa. È inconcepibile. Ci pensi: questa è davvero una prima priorità.

Il secondo è l’evasione diffusa e incontrollata.  Il Paese vive sulle fatture false e sui pagamenti in nero. Sono miliardi che tutti pagano ad altri che sfuggono all’imposizione. Sì, certo, le grandi imprese vanno tassate, ma il fenomeno della piccola evasione ha dimensioni enormi. Questo porta a un punto delicato che so già che le è ostico, ma glielo dico lo stesso: va ridotta drasticamente la possibilità di pagare cash. Basterebbe disporre per le persone fisiche la detrazione fiscale per questi pagamenti. Nessuno più pagherebbe in nero.

Il terzo punto è quello dell’ex Ilva di Taranto. Sborsiamo centinaia di miliardi da decenni per salvare l’occupazione a Taranto e la gente che vi lavora muore di tumore. Non va bene. L’acciaieria è un pozzo senza fondo. Basta. A Taranto, con il PNRR si possono fare tantissime cose per salvare l’occupazione. Basterebbe un po’ d’immaginazione.

Il quarto punto dolente è l’Alitalia, ex o nuova che sia. Quanto è costato fino ad ora al contribuente mantenere una struttura chiaramente obsoleta e inefficiente? Avere una compagnia di bandiera è una bella cosa, ma visto che non funziona e la gente vola lo stesso con altri vettori, a che serve? L’Alitalia è morta da un pezzo. Ne prenda atto.

Un ultimo punto: la sanità. Si sono smantellati i piccoli ospedali territoriali per concentrare i malati in megastrutture regionali, contrabbandando questa decisione per un presunto risparmio. Il risultato è che le spese sono cresciute e la gente muore in ambulanza. So bene che qui c’è un problema con le autonomie regionali, ma la salute e la sicurezza dei cittadini vengono prima di tutto.

Non credo di averle detto cose nuove ma se, come le auguro, lei governerà per i prossimi cinque anni, potrà mettere mano a quelle riforme di cui tanto si parla e che non si fanno mai. Io spero che lei abbia una visione del futuro che vada oltre la programmazione delle vacanze estive.

I molti Italiani che le hanno dato fiducia si aspettano davvero dei cambiamenti razionali ed avveduti. Non ci deluda. Ci dia un segno. Ne abbiamo bisogno.

Molto cordialmente.

Marionette e buffoni

La prima uscita politica del centro-destra non è stata un bel vedere. Anzi, ha rivelato fratture profonde tra gli alleati e, financo, nell’opposizione.

Alla Presidenza del Senato è stato eletto Ignazio La Russa, di FDI, un vecchio volpone, politico di lungo corso, che ha fatto un discorso d’insediamento sereno ed equilibrato, in perfetta corrispondenza con quello di apertura della senatrice Liliana Segre, che presiedeva l’Assemblea.

Berlusconi (ancora lui!), dopo nove anni è rientrato in quel Senato che lo aveva cacciato. Doveva essere contento del risultato personale ottenuto. Ormai faceva tenerezza, diventato quasi un’incolpevole vittima del sistema. E invece, no, vuole ancora strafare. La sua lista di ministri non è gradita alla Meloni, che è la sola che può decidere.

E, allora, lui fa le bizze. Gliela farà vedere alla Meloni chi comanda. Il centro-destra è suo e se l’è inventato lui.  È lui il padrone del vapore. Una scudisciata ci vuole, tanto per farle capire chi comanda davvero e, così, ha fatto le bizze: Forza Italia esce dal Senato e non vota. Addirittura, si parla di andare da Mattarella da soli. Come dire: noi siamo un’altra cosa della Meloni e della Lega.

È vero, sono un’altra cosa. Inutile. Come soldatini ubbidienti (o fantocci), tutti i suoi deputati l’hanno seguito. Berlusconi ha deciso e noi si esegue. Passi per i nuovi eletti che sono i più ignari ma gli altri? Tutti inquadrati e ubbidienti. Nessuno pensa. Non serve ragionare. Basta Berlusconi a farlo.

 Forza Italia è un partito in declino grave, legato a Berlusconi da ragioni insondabili, ma gli elettori non sono stati larghi di consensi con Forza Italia. Conta sempre di meno e fare le bizze non aiuta. Anzi, questo modo di fare della vecchia politica è controproducente. Un po’ di farsa, e passi – questo è anche il paese di Pulcinella – ma mista a preoccupazione.

In un momento tragico per la storia d’Italia, quando si auspica la coesione politica nel comune interesse del Paese, la coesione manca e, soprattutto, difetta nella maggioranza di governo. Perché, poi? Perché la Ronzulli non piace alla Meloni e invece, Berlusconi ne fa una tragedia e non si fa menare per il naso da una ragazzetta di borgata. Per una ragazzina sì, ma è un altro caso.

Il cittadino medio si chiede: ma chi è la Ronzulli? Ha 47 anni, nata a Milano, di professione infermiera. Stato civile: separata con una figlia. Attività politica: membro del Parlamento europeo dal 2009 al 2014 e senatrice della Repubblica dal 2018. Gruppo sanguigno: fedelissima di Berlusconi.

La sua attività politica non è stata eccezionale ma migliore di molte altre: Presidente della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza e membro della Commissione industria, commercio, turismo di Palazzo Madama. Vice-capogruppo del partito al Senato dal 9 novembre 2018 e dal 15 febbraio 2021 è la responsabile per i rapporti con gli alleati con il compito di coordinare, su indicazione di Berlusconi, le strategie comuni agli altri partiti della coalizione di centro-destra per le iniziative e per il programma.

Nel luglio 2019 presenta una sua proposta di riforma del sistema degli affidi e della gestione dei minori allontanati, che prevede, tra l’altro, il diritto alla difesa per le famiglie, l’impugnabilità dei provvedimenti, il rafforzamento del sistema dei controlli, l’istituzione del Registro degli affidamenti e dell’Osservatorio sulle case famiglia. Nel marzo 2021 deposita un disegno di legge per rendere obbligatoria la vaccinazione per il personale sanitario contro il Covid 19 e riceve violenti attacchi e minacce di morte sui social. Sulla questione energetica e del gas prende uno scivolone, sostenendo che un impianto di rigassificazione serve ad estrarre il gas dal giacimento (!).. Nel maggio 2022 viene nominata da Silvio Berlusconi commissario di Forza Italia per la Lombardia per ridare slancio al partito nella regione.

Nell’esercizio della sua attività ha avuto molte controversie di carattere non politico (beghe di famiglia): accusata di coinvolgimento nel caso Tarantini, scontri e contumelie con l’allora ministro Alfano e la moglie, Sonia, accuse di Susy De Martino, altra deputata europea di FI. Chi vuole può trovare su Internet notizie più precise.

In realtà, neppure la Ronzulli è il casus belli. Che la Ronzulli possa essere la miccia per far esplodere il centro-destra è solo assurdo. Il fatto è che Berlusconi non ci sta sotto la Meloni.

Se gli isterismi senili del fondatore di FI continueranno, ne verrà fuori un discredito enorme che la Meloni potrà governare solo con grande fatica. L’impatto elettorale (sono vicine anche le elezioni regionali) non può essere sottovalutato. La posizione di FI è ispirata da ragioni personali e non trova consensi. I voti diminuiranno ancora, a beneficio della Lega e di FDI.

La questione è molto delicata. Non abbiamo ancora un governo e il Paese sta facendo una navigazione molto difficile. Intanto Letta spara dichiarazioni, le sue sì, davvero, incendiarie, in un contesto internazionale. Ha preso l’abitudine di piangere sulla sconfitta e di recriminare all’estero. Dimentica quanto gli elettori l’abbiano punito per i suoi errori. Ma insiste, perché il PD è coerente. Fuori dal potere rischia di dissolversi.

Se il Paese non si presenta unito dinanzi alla catastrofe, il sistema politico- istituzionale rischia di essere spazzato via dalle proteste popolari. Tra imprese in enormi difficoltà o che chiudono, il lavoro che manca, il freddo e la più generale crisi economica, innestata su una guerra sanguinosa e devastante, il rialzo dell’epidemia e la minaccia di uno scontro nucleare, il caso Ronzulli è un acino d’uva in una foresta.

L’opposizione non esiste. Anche qui i buffoni non mancano. Per definizione, gli oppositori sono quelli che hanno perso le elezioni, ma non è detto.  Forse la Meloni deve guardarsi più dai suoi alleati che dai suoi avversari, tant’è vero che l’aiuto per eleggere La Russa è venuto proprio dall’opposizione.

Tutti negano, ovviamente, di averlo fatto. I miracoli, si sa, possono avvenire dovunque, anche al Senato.  In conclusione, alla prima occasione, la maggioranza di centro-destra ha votato contro se stessa mentre l’opposizione ha votato per la maggioranza. Più chiaro di così!

Di cosa parliamo quando parliamo di “futuro”?

Quando l’età avanza, mentre la vita scorre veloce e l’anziano della famiglia, improvvisamente, stai diventando tu, ecco che pensieri, che non avresti mai creduto, potessero sfiorarti, prendono il sopravvento.

In realtà non ti sembra vero che la tua mente possa partorire pensieri di morte e post mortem! Eppure sì, senza che tu lo voglia, basta una ricorrenza , una musica, un anniversario dei tuoi cari , che non ci sono più, e la mente vaga in quell’ Ade che ti era sconosciuto.

Mentre a vent’anni era tutto un divenire, un progetto, un rimandare, adesso non concepisci più un “poi”. Poi, dopo, in seguito, sono avverbi che non usi più e non vorresti sentire usare. Vedremo, faremo, tempi verbali superati.

Oggi, al momento, ora, sono diventati i tuoi amici più intimi, speciali.

“La Vita è adesso ” non è uno slogan pubblicitario, ma il tuo mantra!

Chi ti conosce bene sa che sei stata sempre energica, vulcanica, eclettica e non si meraviglia se, nella stessa settimana, lavori 10 ore al giorno, giochi a tennis, studi inglese e pianoforte, dipingi, danzi e fai pilates, vorresti iscriverti ad un corso di arabo, studiare il sax e l’arpa!

Ma solo tu e chi ti dorme a fianco sapete che c’è molto di più di una grande energia.

C’è che la vita la senti preziosa, percepisci che ti vuole sfuggire di mano e per questo la tieni stretta. Cominci a sistemare le cose, rifinisci un muro che si sgretola, pianti alberi da frutto, curi i particolari, per lasciare ” tutto sistemato”.

Fai bilanci, conti e divisioni e ti ritrovi ad articolare frasi, dapprima impensabili: ” Poiché non sono eterna….per il futuro dei miei figli….quando non ci sarò più…”

Ma com’è possibile che proprio io, che respiro, guardo il mondo, amo la vita come nei miei vent’anni, abbia potuto concepire e verbalizzare simili pensieri?

E il colmo lo raggiungi quando decidi che devi scrivere il testamento. È giusto, ti dici, scripta manent, ma quando è il momento di quello spirituale la mano trema, il cuore fa le bizze.

Io, quell’eterna ragazza che si meraviglia quando in palestra le danno del lei, che allo specchio non vede rughe, ma solo segni d’espressione, io, non posso immaginare che un giorno non ci sarò più. 

Non posso concepire il distacco dai miei figli, non poterli più osservare, proteggerli, abbracciarli. E allora, il mio testamento spirituale sarà: ” Lasciate che la vita vi travolga, che i progetti si avverino o si sgretolino, che i viaggi siano cammini lieti o percorsi impervi, ma soprattutto concedetevi di amare e di dimostrare il vostro amore, ogni giorno”.

Il male dell’anima nella società del benessere

Si parla tanto di benessere, del benessere psicofisico, dello stare bene, sentirsi bene, della conoscenza del Sé. Ne abbiamo talmente bisogno da ricorrere, rincorrere e prendere a prestito le culture orientali.

Forse perché nel mondo occidentale non riusciamo a trovare quella che chiamiamo felicità

Da medico cardiologo mi sono resa conto che il cuore non è solo normale, ipertrofico, dilatato, aritmico, ma anche stanco, deluso, amareggiato. Perché è nel cuore che viene considerata riposta l’anima.

È vero che si potrebbe localizzare anche nei recessi cerebrali più nascosti, ma è il cuore la sede a cui attribuiamo la casa dell’anima.

Stiamo male? E allora la frequenza cardiaca aumenta, come per una febbre.

Siamo delusi? E sentiamo il battito rallentare. 

Abbiamo paura? Sembra che il cuore si fermi o acceleri bruscamente.

Un lutto, una separazione? E un battito d’ali prende il volo, il respiro si fa corto e le palpitazioni aumentano.

Il mal d’ amore non si può curare come il mal d’auto.

È complesso. Può sembrare simile, a molti, pare che accomuni, ma ogni storia è un universo, ogni sensazione è particolare.

Da cardiologa ho sempre ascoltato il cuore oltre i toni cardiaci, le pause, i soffi, le aritmie. Ascolto come in confessione, con quella penombra che l’esame ecografico richiede, ma non solo per vedere nitide le immagini sul monitor, ma per sentirne l’anima.

Chi ti racconta di una vita ingrata, faticosa, crudele, porta una mano sul cuore , come a volerlo comprimere. Chi chiede venia intreccia le dita delle mani e le avvicina al cuore, come nelle preghiere, del Credo,del Confiteor, del Rosario.

Il cuore come rifugio, contenitore di segreti e speranze, sede dell’anima, che assetata d’amore chiede conferme, empatia, solidarietà, anche nella società della presunta opulenza.

Vincitori e perdenti

Passata la febbre elettorale, una volta tanto non hanno vinto tutti. Anzi, tranne Fratelli d’Italia, hanno perso tutti, anche chi si proclama vincitore, come Conte.

            Il PD è alle corde. La dissennata politica del cosiddetto “campo aperto” si è risolta in una specie di campo santo.  Il PD scende sotto il 20% e perde anche 800.000 elettori rispetto alle ultime elezioni, perde la Bonino, alleata, che non viene eletta, e Impegno civico, di De Maio, che non supera neppure l’1%. Un disastro epocale. Letta, che è un gentiluomo, annuncia che non si ripresenterà come Segretario del partito al prossimo congresso. La sua politica è fallita.

Il Movimento di Conte dal 1° posto alle precedenti elezioni è sceso al 3°. Per Conte si tratta di un gran successo, considerato il fatto che tutti lo davano per spacciato. Non è stato così, ma se si pensa ai sei milioni di voti che 5Stelle hanno perduto dopo l’exploit delle ultime elezioni, il Movimento risulta più che dimezzato. Una bazzecola. Conte è riuscito a fermare la frana con la difesa del reddito di cittadinanza, ma il risultato elettorale è totalmente negativo, checché ne dica lui.

L’unico elemento innovativo è che, collocandosi Conte alla sinistra del PD, sarà la vera opposizione, cosa di cui il PD, al governo da dieci anni senza mai vinto un’elezione, ha perso l’abitudine.

Altro fallimento è il cosiddetto Terzo Polo, che ora è il Quarto, di Renzi e Calenda. Un misero 7% che frustra le ambizioni dei due personaggi. Ricordano il titolo di una vecchia commedia: Tanto rumore per nulla. Quanto durerà questa inusitata unione dell’ultimo minuto?

La Meloni ha vinto a piene mani, riducendo a ombre anche i suoi alleati.  Forza Italia vivacchia con il ritorno di Berlusconi al Senato, con la Presidenza della Regione Sicilia e con la soddisfazione di vedere la Lega al di sotto di Forza Italia.

La Lega ha perso numeri, oltre 2 milioni di elettori, e la faccia, perché non è più un partito nazionale, ma si è ristretta solo al nord, come alle origini.  Dal 34% è passata a poco meno dell’8%. Salvini, che non è un gentiluomo come Letta, fa finta di niente e non prende atto della sua disfatta politica. Anzi, rialza il tiro, contro il parere dei Governatori della Lega e del suo elettorato che sono in rivolta. Adesso abbiamo un partito del Sud, quello di Conte e uno del Nord, la Lega ristretta dopo la cura Salvini.

Ora il sistema cambia faccia, sempre che Il Presidente della Repubblica, che è l’arbitro degli incarichi, affidi alla Meloni il governo del Paese.

Intanto, fioccano i commenti, nazionali ed esteri su questa rivoluzione elettorale.

I più sono commenti preoccupati per il “filo fascismo” emergente in Italia. A un secolo dalla Marcia su Roma, tutto ciò è davvero fuori tempo, ma occorrerà tener conto dei pareri degli altri. L’Italia non è sola nel mondo, ma è inserita in un contesto complesso che investe non soltanto la sua politica estera ma anche la sua economia, in un momento di crisi profonda dovuta alla guerra in Ucraina, alla situazione energetica, all’inflazione crescente e al disagio profondo della gente che deve provvedere a spese impreviste che strangolano i bilanci familiari e quelli delle imprese.

Il nuovo governo dovrà misurarsi con scelte di campo tanto difficili quanto dolorose. Sarà la Meloni all’altezza della situazione? D’altro canto, qualunque altro governo lo sarebbe stato?

Si apre un periodo oscuro e difficile. È sciocco farsi delle illusioni: il cammino sarà molto arduo, nonostante la forte maggioranza che sosterrà la Meloni. L’opposizione non farà prigionieri e la diffidenza dei nostri partner europei sarà molto elevata.

A prescindere dai fatti interni, il nuovo governo dovrà destreggiarsi fra le simpatie di Polonia e Ungheria, gli ammiccamenti di Mosca, la diffidenza cauta della Francia e Germania e la posizione piuttosto forte assunta dall’Unione Europea che, a detta della Von der Layen, se l’Italia sgarra, ha tutte le misure opportune per riportarla sulla retta via. Dichiarazioni inammissibili ma comprensibili, perché l’Italia, nonostante tutto, è ancora la terza economia dell’Europa.

Basterà dichiararsi fedeli alleati degli Stati Uniti, filo atlantisti e filo europeisti, confermare le scelte del governo Draghi nei confronti dell’Ucraina e delle sanzioni alla Russia? Forse, una mossa azzeccata sarebbe una visita della Meloni a Zerenski, prima di qualunque altro incontro diplomatico. Metterebbe tutti a tacere.

Il nuovo governo sarà composto da Ministri, ovviamente, scelti dalla Meloni. Si parla di un governo dei migliori. Chi sarà nominato? È ancora troppo presto per il toto-ministri e qualcuno della Lega e di Forza Italia farà parte del nuovo gabinetto, ma gli altri? È sperabile, ad esempio, che al Ministero degli Affari Esteri vada qualcuno che ne capisce e che abbia un certo peso. Per troppo tempo quel Ministero è stato occupato da ombre e la nostra credibilità internazionale non può reggersi solo sul Presidente del Consiglio di turno, come è accaduto con Draghi che, però, aveva statura ed esperienza per due.

Il PNRR è la nostra valvola di sicurezza. Accantonarlo o rinviarlo alle calende greche per la riformulazione di alcuni punti sarebbe un grave errore non solo economico, ma anche politico rispetto all’Unione Europea.

Politica estera e politica interna s’intrecciano, urgenze improrogabili, quelle vere, che interessano i cittadini: bollette, energia, lavoro, sanità, inflazione, debito pubblico, il n bilancio. C’è da tremare. Altro che riforma della Costituzione! Quella, al momento, non interessa nessuno.

Si apre uno scenario fino a poco fa quasi impensabile. Nonostante l’assenteismo, buona parte del Paese che ha votato, ha votato per un cambiamento. Non lo si è avuto con 5Stelle, forse non lo si avrà neppure con Fratelli d’Italia. Ma la gente ci ha provato. Non bisogna deludere chi ci ha creduto.

Stelio W. Venceslai

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