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Viaggio tra le architetture fluide della “Grande Mela”

C’è qualcosa nell’aria di New York che rende il sonno inutile.

(Simone de Beauvoir)

Ed è New York la città più bella del mondo? Forse. Nessuna notte urbana è come la notte a New York. Ho guardato la città dall’alto dei grattaceli. Ed è allora che i grandi edifici perdono la loro realtà a la sostituiscono con poteri magici, diventando cosi immateriali che è come se esistessero solamente le finestre illuminate.

(Ezra Pound)

Una volta che siete vissuti a New York per qualche tempo e la città è diventata casa vostra, non c’è altro posto altrettanto bello. Qui si concentra tutto, popolazione, arte, teatro, letteratura, editoria, import, affari, assassinii, aggressioni di strada, lusso, povertà. E’ tutto di tutto. Va avanti tutta notte, è instancabile.

(John Steinbeck)

El Sapo (Venezuela), una suggestione acquosa

Oltre 3 milioni di ettari di boschi e acqua dove spuntano nunerosi  “tepuyes”, caratteristici altopiani rocciosi risalenti circa 2.000 milioni di anni fa, formano il Parco Nazionale di Canaima (Venezuela) dichiarato patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 1994.

L’arrivo con il piccolo aereo, dopo aver sorvolato per diverso tempo immense distese di boschi e fiumi, è emozionante.  Il viaggio volge al termine nel mentre si sorvola la più alta cascata del mondo, il “Salto Angel”.

Ancora pochi minuti e solo dopo essermi dilettato a pilotare il piccolo aereo, si atterra nel piccolissimo aeroporto di Canaima.

Ancora  negli occhi l’immagine nitida di un anfiteatro di cascate viste dall’alto, inebriato da profumi deliziosi e distratto dalle tante specie di volatili dai mille colori, in pochi passi mi ritrovo in un suggestiva quanto graziosa struttura ricettiva, perfettamente integrata in un ambiente naturale, dove trascorrerò alcuni giorni.

Qualche tempo per una rinfrescatina, un ottimo pranzo e quindi si parte immediatamente alla scoperta di quello che è definita una delle meraviglie della creazione.  Canaima è un luogo dove gli scenari naturali sono percorsi da spettacolari fiumi che interrompono il loro percorso formando meravigliose cascate.

Un primo sguardo, richiamato dal rumore dell’acqua, per vedere dal basso ciò che avevo ammirato in volo: un anfiteatro di acqua spumeggiante che lascia senza respiro.  Una sosta silenziosa per cercare di carpire ed immagazzinare tutti i rumori della natura prima di avviarmi, percorrendo un piccolo sentiero in direzione della cascata “El Sapo”.

Una trentina di minuti di passeggiata, attraversando boschi rigogliosi e di un verde vivo, e sono di fronte a questa meravigliosa cascata, “El Sapo”.

Emozionante, quanto unico, il passare dietro la massa d’acqua che in un frastuono incredibile ed una intensità crescente ti riempie di adrenalina pura dantoti la forza di andare avanti e passare al lato opposto della cascata.

Ho trascorso delle ore ad ammirare il paesaggio da ogni angolazione rimanendone ammagliato e rapito.  La mia guida mi sollecita la ripartenza, bisogna tornare alla base, cenare e prepararsi per il giorno successivo per arrivare sin sotto il mitico Salto Angel.

Palafitte sul mare: I Trabocchi”

Gabriele D’Annunzio, che a San Vito Chietino ebbe il suo eremo, cantò la Costa dei Trabocchi nel “Trionfo della Morte”: 

“Proteso dagli scogli, simile a un mostro in agguato, con i suoi cento arti il trabocco aveva un aspetto formidabile”.

“Dall’estrema punta del promontorio destro, sopra un gruppo di scogli si protendeva un trabocco, una strana macchina da pesca, tutta composta di tavole e di travi, simili ad un ragno colossale…”.

E ancora:

“La grande macchina pescatoria composta di tronchi scortecciati di assi e di gomene che biancheggiava singolarmente simile allo scheletro colossale di un anfibio antidiluviano”.

“Il trabocco, quella grande ossatura biancastra protesta su la scogliera..forma irta e insidiosa in agguato perpetuo, pareva sovente contrastare la benignità della solitudine. Ai meriggi torridi e ai tramonti prendeva talora aspetti formidabili”,

“…fin negli scogli più lontani erano conficcati pali a sostegno dei cordami di rinforzo; innumerevoli assicelle erano inchiodate su per i tronchi a confortarne i punti deboli. La lunga lotta contro la furia del flutto pareva scritta su la gran carcassa per mezzo di quei nodi, di quei chiodi, di quegli ordigni. La macchina pareva di vivere di una vita propria, aveva un’aria e un’effige di corpo animato”.

Non esiste migliore modo per descrivere queste macchine da pesca facendone sentire la poesia e l’unicità.  I trabocchi che caratterizzano la costa abruzzese, ma anche molisana e garganica, pare siano stati opera dei cinesi nel IV-V secolo, e si ritiene che tale modello sia stato utilizzato dai bizantini fin dal 587. Uno degli episodi più clamorosi fu l’assedio di Caffa, avamposto genovese nel Mar Nero, avvenuto nel 1345.

Altra ipotesi di studiosi, circa le sue origini, è quella che il nome trabucco deriva dal latino “trabs”, ovvero trave. Per altri, deriva dall’antico francese “Trabone”: un’antica macchina murale per gittare. C’è, inoltre, chi associa quest’invenzione ai Fenici.

Cosa sono, o per meglio dire, sono stati i trabocchi fine ad un passato abbastanza recente?

Non altro che una imponente costruzione realizzata in legno strutturale che consta di una piattaforma protesa sul mare ancorata alla roccia da grossi tronchi di pino d’Aleppo, dalla quale si allungano, sospesi a qualche metro dall’acqua, due (o più) lunghi bracci, detti antenne, che sostengono un’enorme rete a maglie strette detta trabocchetto.

In altri termini, delle macchine per la pesca, trasformati negli ultimi anni in suggestivi ristoranti di pesce.

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