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Un accordo fra diseguali

Due grandi Paesi lontani e profondamente diversi per storia e situazioni politiche, non confinanti tra loro, hanno recentemente sottoscritto un accordo venticinquennale molto importante.

I due Paesi sono la Cina popolare e l’Iran.

La Cina è una Repubblica popolare comunista di un comunismo un po’ particolare, appunto, il comunismo cinese, l’Iran è una Repubblica islamica, dopo la detronizzazione dello Scià. Non hanno frontiere comuni e questo facilita le cose come l’essere politicamente, in un certo senso, sono due teocrazie monopartitiche.

Secondo gli esperti, la Cina è prossima divenire la più grande potenza economica del pianeta, superando persino gli Stati Uniti. Con un miliardo e mezzo di abitanti è anche lo Stato con la popolazione più numerosa ed ha un enorme mercato interno da sfruttare mentre è già un gigante economico di primaria grandezza sul piano esterno. Il suo PIL è di circa 20mila miliardi di dollari.

L’Iran conta poco meno di 90 milioni di abitanti, con un PIL di circa 250 miliardi di dollari. A differenza della Cina non è una potenza nucleare e da oltre quarant’anni è in contrasto con gli Stati Uniti, spesso definiti il Grande Satana, proprio perché intende dotarsi di uranio arricchito e di armamento nucleare.

Semplificando, l’accordo sottoscritto è molto importante perché si situa in quella fascia di interessi geopolitici che intravede in un futuro non molto lontano un radicale cambiamento degli assetti internazionali, dando per scontato il declino degli Stati Uniti come potenza mondiale egemone.

Dopo la 2° Guerra mondiale e il trionfo del multilateralismo, infatti, gli Stati Uniti hanno assunto un ruolo di gendarme del mondo che si è rivelato troppo difficile ed oneroso. Nel frattempo la Cina popolare e la Federazione Russa sono diventate potenze di primaria grandezza che contrastano in vari modi il prepotere nordamericano.

 Con la Presidenza Trump, i molteplici fallimenti di politica estera e militare americani sono stati il pretesto per il ritorno a una specie di isolazionismo continentale, aprendo un vuoto importante nelle relazioni internazionali. Di qui l’idea di un riassetto generalizzato del sistema del quale si è fatto portatore Putin, con le sue ripetute dichiarazioni in favore di un nuovo sistema multipolare di gestione del mondo.

L’accordo cino-iraniano sembra muoversi in questa direzione, sancendo il principio del non intervento negli affari interni di ciascun Paese. Nulla di nuovo, in verità, perché è dai tempi della Santa Alleanza che vige il criterio che in ogni Paese ciascun governo è libero di operare come meglio crede, senza interferenze esterne.

La differenza tra la situazione di allora (parliamo di due secoli fa) e quella di adesso, è la scoperta dei diritti civili e della democrazia di marca americana.

Non è un mistero che le grandi organizzazioni finanziarie internazionali come la Banca Mondiale e l’FMI e la stessa BEI erogano fondi ai Paesi emergenti alla condizione che i relativi governi siano democraticamente eletti e vengano rispettati i diritti civili delle persone. Sulla scia di questi principi si è mossa, infatti, anche l’Unione europea.

Poi, nella realtà, gli accordi si fanno tutti e i finanziamenti arrivano lo stesso. Basta una mascherata di elezioni fasulle tra partiti tribali, come in Africa, e il gioco è fatto. Questo vale un po’ dovunque e se si getta uno sguardo sul mondo, la maggior parte dei Paesi è retta da oligarchie, da regimi totalitari e intolleranti, spesso guidato da militari.

L’idea americana di esportare la democrazia occidentale nel mondo è fallita. Ciò che si sta facendo strada è la convinzione che nessuna potenza dovrebbe essere militarmente egemone (troppo costoso) e che la competizione fra gli Stati dovrebbe essere solo economica, una tesi che fa gioco, essenzialmente, alla Cina, la maggior potenza commerciale del mondo.

L’accordo cino-iraniano, in realtà, è un coltello piantato alle spalle del subcontinente indiano (India e Pakistan), due potenze nucleari in vistoso riarmo (specie l’India con il potenziamento della sua flotta e i suoi pessimi rapporti con Pechino), peraltro tra loro divisi da questioni religiose e territoriali (il Kashmir). D’altro canto, anche l’India sta emergendo come potenza continentale e può agevolmente bloccare gli interessi cinesi verso il Golfo Persico e le coste africane. Per contrastare l’espansionismo indiano un Iran alleato della Cina va benissimo.

La Cina cerca di espandersi sul mare con la costruzione di isole artificiali e con il potenziamento della sua flotta, contrastando l’egemonia americana (ed australiano-neozelandese) nel Pacifico, insidiando i lucrosi traffici nell’area dove gravitano Indonesia e Filippine.

In questo contesto, la Russia si trova in una difficile posizione, dovendo intermediare fa i suoi quasi alleati: l’Iran, (che le fornisce i droni per bombardare l’Ucraina), il Pakistan (a metà strada fra l’alleanza con gli Stati Uniti e il richiamo islamico), l’India (che Mosca ha sostenuto nelle guerre contro la Cina per la questione del Tibet) e la Cina stessa, con la quale, venuto meno il collante ideologico di un tempo, sussistono rapporti di neutralità “cordiale” (che potrebbero facilmente sfociare in un contrasto, come è già avvenuto con la guerra sull’Ussuri).

Emerge da tutto ciò l’inesistenza politica di un’Europa la cui unica chance di sopravvivenza è l’attaccamento alla NATO. Finché dura.

Dov’è l’Europa dei nostri sogni giovanili?

The crazy man

La ‘teoria del folle’ è il nome moderno per una tecnica di governo molto antica—adoperata da ogni monarca e despota che abbia mai coltivato ad arte la propria reputazione per gli eccessivi e pericolosi scatti di rabbia davanti ad ogni ostacolo alla sua volontà.

La sua codifica attuale come “The Madman Theory” risale alla Presidenza dell’americano Richard Nixon nella prima metà degli anni Settanta, quando–pur molto gravemente indebolito dallo scandalo Watergate–dovette tentare di condurre in porto una difficile trattativa con i vietnamiti del Nord per ottenere un accordo che permettesse agli Usa di uscire dal terribile pantano che fu la guerra del Vietnam.

Si decise allora—come raccontò il suo principale collaboratore, H.R. Haldeman—di provare a convincere la controparte vietnamita che Nixon fosse talmente disperato per la sua posizione da essere capace di gesti inconsulti ed estremi—per l’appunto ‘folli’—nel caso in cui non fosse riuscito a ottenere forti concessioni da Hanoi.

L’applicazione del principio a Vladimir Putin è evidente, specialmente perché la propaganda occidentale da tempo lo descrive come un pazzo maniaco, capace di ogni nefandezza. Non è però insano di mente, un vero folle non sarebbe mai stato capace di restare incollato alla scivolosa poltrona della Presidenza russa per vent’anni. Gioca, è vero, con un altro mazzo di carte rispetto ai gusti occidentali, ma ciò non vuol dire che sia davvero pronto a ‘premere il grilletto’ nucleare. Cosa farebbe poi?

Una sua grossa difficoltà è legata al fatto che il bluff del gas naturale è fallito. A sorpresa forse, sia la Germania sia la Francia sarebbero riuscite a portare il loro stoccaggio di gas per l’inverno ad oltre il 90 percento del fabbisogno previsto con settimane d’anticipo rispetto ai tempi previsti.

A questo punto la guerra in Ucraina è più un conflitto politico che militare. L’unica arma in qualche modo ‘intermedia’ che rimane ai russi è quella di una fuga, modesta ma misurabile, di materiale radioattivo da un impianto nucleare degli ucraini—da attribuire immancabilmente a questi ultimi—allo scopo di terrorizzare l’opinione pubblica  del vicino Occidente democratico…

D’altro canto, i due paesi più fermamente convinti nel loro sostegno all’Ucraina—gli Usa e la Gran Bretagna—sono sostanzialmente fuori dalla ‘gittata’ della mossa. In tutto ciò, l’inetto ma imprevedibile Joe Biden—architetto della precipitosissima fuga americana dall’Afganistan—è davanti ad elezioni molto incerte in cui il suo partito deve battere ad ogni costo l’inaccettabile Donald Trump. Non potrebbe anche Biden fare il pazzo? È terribile assistere, lontani ed inermi, a una partita di poker tra Occidente e Russia in cui noi non siamo che le fiches

Perché il cibo biologico non è poi così caro come dicono

Cibo commerciale e cibo biologico, ecco cosa ho comprato con cinquanta euro e cosa ne ho dedotto

L’uomo è ciò che mangia” se dovessimo applicare alla lettera quanto scriveva il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach dovremmo preoccuparci più della pancia che del pensiero. In effetti secondo la sua dottrina, il pensiero nasce dal corpo e se ques’ultimo è trattato bene anche il pensiero che ne scaturisce sarà di buona qualità.

Dopo anni che ho sentito ripetere dalla maggior parte delle persone sempre la stessa frase come un temibile mantra: “il cibo biologico costa troppo e non posso permettermelo”, ho deciso di affrontare definitivamente la questione e condurre un semplice esperimento.

Un carrello ci schiaccerà (Banksy)

Avrei speso nel medesimo supermercato, in settimane diverse, cinquanta euro di spesa nei corridoi alimentari “commerciali”, cinquanta in quelli biologici e succesivamente avrei messo a confronto i due carrelli e analizzato i due diversi approcci comportamentali. Detto fatto!

La prima spesa è stata quella “commerciale”. Dopo quarantacinque minuti di via vai yfrenetico tra scaffali senza fine che esponevano migliaia di prodotti alimentari in formato maxi ho riempito un carrello di: quattro confezioni di pasta, due barattoli di pomodori pelati, pane di grano duro russo, grissini, tarallucci, gallette, una confezione di pesto, due di ragù pronto, biscotti, latte, burro, nutella e pancarrè. Una bottiglia di vino nazionale di cooperativa sociale, due birre in lattina estere, una confezione da sei di acqua naturale e una di Fanta. Mozzarella in offerta in confezione da tre, würstel familiari con super sconto, un barattolo di maionese gigante, detersivo per lavabiancheria, tovaglioli di carta, piatti di plastica e cotolette di pollo panate surgelate. Infine, prima di pagare alla cassa, ho tirato dentro in extremis una confezione di patatine al formaggio per l’aperitivo e batterie ministilo per il telecomando del condizionatore elettrico.

Mi sentivo soddisfatto. Appagato. Con il carrello pieno e con una strana euforia in testa, al solo pensiero di aprire la confezione di tarallucci e gustare già in macchina quelle prelibatezze pugliesi al finocchietto selvatico.

Critica al consumismo di Banksy

Dopo qualche settimana mi sono nuovamente presentato presso il medesimo supermercato. Stavolta però, avrei utilizzato le cinquanta euro, per la parte di spesa alimentare, solamente nel reparto biologico.

La prima rinuncia l’ho dovuta fare con il carrello grande in metallo. Mi sono dovuto accontentare di portare a mano il carrello in plastica ypiccolo. Senza che me ne fossi accorto era stato assestato dal modello consumista il primo colpo basso alla mia autostima!

Mi sono diretto quindi verso il reparto biologico a scoprire un mondo. La prima evidenza balzata agli occhi, al termine delle operazioni preliminari, è stata quella che a parità di tempo avevo comprato la metà dei prodotti, portando però a casa davvero l’essenziale. 

Camminando nei due corridoi biologici, mi sono accorto che in realtà di stare passeggiando, soffermandomi davanti ad ogni prodotto, leggendo attentamente ogni singola etichetta, e valutandone con calma la provenienza e la genuinità. Dal grano duro per la pasta ai pomodori per il sugo. La tracciabilità del latte e il burro chiarificato. Ho scoperto che esistono hamburger vegetali e surrogati senza colesterolo della carne. Olio locale, ricotta fresca locale, biscotti senza conservanti e grassi idrogenati. Riso biologico, legumi e petto di pollo allevato libero in ettari di terreno a disposizione.

A proposito del pollo, non ci crederete, ma persino il colore della sua fibra è diverso! Quello commerciale, allevato intensivamente risulta essere clorotico e pallido, quello ruspante ha un colore tendente al giallo chiaro; e naturalmente, ho constatato che anche il gusto risulta essere davvero gratificante.

Da un’attenta lettura degli scontrini, dunque, emergeva una verità apodittica e sconcertante: vero era che i cibi biologici unitariamente costavano di più, ma era anche vero che proprio perchè più costosi mi avevano indotto inconsciamente ad eliminare tutti quei prodotti inutili, superflui e dannosi per la salute se assunti quotidianamente. Non figuravano, Nutella, würstel, grissini, tarallucci, patatine e bibite gassate; per non parlare poi della qualità della materia prima.

Il lato oscuro

epa07276848 A handout photo made available by the China National Space Administration (CNSA) shows shows a picture of the Chang'e 4 lander taken by the lunar rover Yutu 2's, or Jade Rabbit 2, panoramic camera on the far side of the moon on 11 January 2019 (issued 12 January 2018). China announced on 11 January 2019 that the Chang'e 4 mission, which realized the first-ever soft-landing on the far side of the moon, was a complete success. The Chang'e 4 lunar probe made its historic landing on 03 January 2019 at 10:26am Beijing time (0226 GMT). EPA/CNSA / HANDOUT HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES HANDOUT HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES

La sonda cinese Chang’e 4 ha raggiunto la Luna il 3 gennaio del 2019, compiendo l’allunaggio sul ‘lato oscuro’ del satellite terrestre. A seguito dell’analisi dei dati raccolti, il Governo di Beijing ha asserito di non aver trovato tracce di precedenti viaggi lunari americani.

Nel 2021, duemila dirigenti del Partito Comunista cinese hanno firmato una petizione chiedendo ‘spiegazioni’ al Governo Usa, insinuando che le sue missioni lunari Apollo non fossero nei fatti mai avvenute.

Per quanto la campagna propagandistica sia stata presto abbandonata, la mossa ‘semi-ufficiale’ cinese ha dato da pensare agli americani. A luglio di quest’anno il capo della Nasa, Bill Nelson, ha pubblicamente ipotizzato che la Cina potrebbe tentare di prendere controllo della Luna per scopi militari. Ciò nonostante la sua sottoscrizione dell’Outer Space Treaty  del 1967, che lo vieterebbe esplicitamente.

È di questi giorni invece l’analisi dell’Agenzia Bloomberg — A US-China Battle on the Moon Is Possible, and Avoidable — sulla possibilità di un conflitto tra Cina e Usa per il predominio militare e strategico sulla Luna. La Bloomberg attribuisce l’accresciuta tensione sul tema alla pubblicazione da parte della Nasa di un elenco di potenziali destinazioni per le sue prossime missioni lunari. Secondo quanto risulta, alcuni di questi obiettivi sarebbero gli stessi prescelti anche dalla Cina per i propri viaggi sulla Luna—entrambi i paesi li considererebbero come siti ottimali per insediamenti permanenti e per lo sfruttamento delle sue risorse minerarie.

È forse una fortuna che nessuna delle due potenze sia attualmente in grado di mandare missioni ‘umane’ sulla Luna. Le difficoltà della Nasa nel  ricominciare i suoi lanci sono note, mentre la Cina stima di poterci inviare i propri astronauti non prima di una decina di anni. Per il momento, dunque, i possibili conflitti sulle presenze lunari possono essere condotti solo a parole.

In questo contesto, è interessante ricordare che la vittoria degli Usa sull’Unione Sovietica durante la Guerra Fredda fu ottenuta con strumenti più economici che strettamente militari. L’inizio della fine per l’Urss arrivò a metà degli anni Ottanta con l’avvio dalla parte americana della costosissima Strategic Defense Initiative (SDI), ilprogetto di difesa missilistica comunemente denominato “scudo spaziale”. Non divenne mai operativo, ma ebbe l’effetto di trascinare i sovietici su un terreno tecnologico e soprattutto economico dove non potevano proseguire per l’insormontabile mancanza di risorse.

La Cina oggi possiede tecnologie e una base industriale lontane anni luce da quelle sovietiche. Ma non è un momento economico felice per nessuno, e i due attori, l’America e la Cina, parrebbero per ora obbligati a prendersi a sputi con dei mezzi più tradizionali.

La leggerezza di una risata

E se bastasse ridere di più? Proprio così, una sana e gustosa risata condita delle pietanze più succulente, quelle della felicità e della leggerezza. Oggi ce lo si chiede in tanti. La ricetta per stare bene, quella per vivere meglio e le azioni per recuperare quello spirito magari perduto con il passare degli anni.

Siamo a caccia di risposte, sempre e comunque e ci illudiamo troppo facilmente che possano aiutarci bellissimi post sui social o articoli approfonditi che ci aiutino a capire come stare bene. Ma forse, in fondo, lo sappiamo già. E la risata è comunque e sempre una buona medicina. E’ a costo zero e basta un niente per ingerirla senza doversi limitare ad un tot di grammi al giorno.

Intanto, però, sembriamo averla smarrita chissà dove. Non ci sono più i giornali di satira e i programmi tv eccedono sino a non essere più veicoli di un sorriso attento e intelligente. Eppure questa possibilità è lì, a portata di tutti e per giunta gratis.
Inutile dire che le ricerche lo confermano, che ridere fa bene al corpo e alla mente. La risata è fra i più potenti antitumorali che esistano in circolazione.

E se volessimo recuperare il piacere della risata? C’è ancora tempo? Si che c’è, proprio come Peter Pan impara nuovamente a volare nel capolavoro cinematografico Hook-Capitan Uncino con Robin Williams e Dustin Hoffman: come tutte le cose, basta volerlo!
Nei contesti lavorativi, in quelli familiari c’è sempre più e troppo spesso un unicum di serietà dovuta, da un lato, al fatto che si pensa che chi ride non lavora; dall’altro una attenzione all’educazione o uno smarrimento dovuto agli strumenti tecnologici.

Eppure, pensateci, se la risata scappa è facilmente contagiosa, è una malattia piacevole da prendere e restituire. Pensate a Mary Poppins e alla combriccola che riesce persino a galleggiare nello spazio di una stanza.
Perché sì, è così. Ridere rende leggeri.

Gigantismo asiatico

La Statua dell’Unità qui sopra raffigura il politico indiano, Vallabhbhai Patel, capo del movimento d’indipendenza indiano. Collocata nei pressi di Rajpipla, un modesto comune dell’India centro-occidentale, è in assoluto la statua più alta del mondo. Inaugurata nel 2018, misura 182 metri dai piedi fino alla cima della testa. Per fare un paragone, la Statua della Libertà di New York è alta 46 metri – non contando il basamento – e il Cristo Redentore di Corcovado, a Rio de Janeiro, è alto 30 metri, più o meno come doveva essere il Colosso di Rodi, una delle sette meraviglie del mondo antico.

È interessante notare che delle dieci statue più alte del mondo, nove sono asiatiche – tutte recenti – e una è russa, cioè, di un paese ‘geograficamente’ molto più asiatico che europeo. Le statue asiatiche propriamente parlando sono quasi sempre tematicamente religiose, di stampo buddhista, mentre quella russa è di sapore vagamente ‘imperialista’.

La statua russa, che occupa per ora la settima posizione in classifica, è alta nell’insieme, cioè, piedistallo compreso, circa 94 metri. Inaugurata a Mosca nel 1997, fu inizialmente concepita per ricordare Cristoforo Colombo in occasione del 500º anniversario (1992) della scoperta dell’America. Poi, non trovando uno sponsor statunitense, l’artista – l’architetto georgiano Zurab Konstantinovič Cereteli – riuscì a ‘riciclare’ il progetto per farne un monumento commemorativo spettacolarmente brutto del 300º anniversario della prima flotta russa, raffigurante lo Zar Pietro il Grande. Nel caso, forse il ‘grande’ è stato piuttosto Cereteli… 

I cani non sputano…

La ‘personalizzazione’ degli animali di compagnia – i cani in modo particolare – ha fatto passi da gigante negli ultimi anni, con tanta gente che non si raffigura più come il ‘padrone’ della bestia di casa, ma piuttosto come ‘la mami’ o ‘il papi’ del pelosetto.

È difficile spiegarne il motivo. Forse perché i rapporti con i figli ‘veri’ – cioè quegli umani – non sembrano più dare le soddisfazioni che ci si aspetta… Comunque sia, per molte persone altrimenti adulte, non basta più vestire l’animale con quei simpatici cappottini quando fa freddo fuori. Sempre più dedichiamo ai nostri animali domestici molte delle stesse cure una volta riservate ai bambini.

Da qualche tempo questa tendenza si esprime nella singolare pratica di lavare i denti al proprio cane ogni mattina. Sono parecchi i veterinari – specialmente nei paesi anglosassoni – a consigliare l’igiene dentale ai propri assistiti sulla base di ricerche secondo cui una spazzolata mattutina alla dentizione offre agli animali gli stessi benefici ottenuti dai padroni. Ciò soprattutto nella riduzione delle malattie che interessano le gengive. La pratica può anche controllare il comune difetto dell’alitosi canina.

Il consiglio è di procurarsi uno spazzolino morbido e, prioritariamente, uno specifico dentifricio per cani. Il fluoro spesso presente nei dentifrici per gli umani è mal tollerato dai nostri amici a quattro zampe. Inoltre, amano poco il gusto di menta e – forse non è una sorpresa – gradiscono di più i dentifrici al sapore di carne o a volte di patate. Un altro problema con il prodotto per umani è la caratteristica schiumosità. I cani perlopiù non sanno sputare come le persone…

Gli esperti giurano che i cani partecipano volentieri alla pulizia dei denti – almeno una volta che ne acquisiscono l’abitudine. Un esperto interpellato dal quotidiano americano Washington Post propone di estendere tale pratica anche ai gatti, ma ammette: “Certo, riconosciamo che potrebbe essere una sfida”.

Giornata nazionale dell’ Ordine di Malta Italia

Il 15 Ottobre nelle piazze italiane i volontari dell’Associazione Nazionale dei Cavalieri Italiani dell’Ordine di Malta (ACISMOM), dei tre Gran Priorati italiani, del Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta (CISOM) e del Corpo Militare (ACISMOM), dal mattino e fino all’imbrunire, nei gazebo, incontreranno curiosi ed appassionati per farsi conoscere e per creare una rete di solidarietà che non sia chiusa nei palazzi, ma che viva nelle città dove si incontrano persone bisognose da un lato e caritatevoli e pronte all’aiuto, dall’altro.

In Italia l’ordine di Malta persegue la sua mission attraverso diverse attività di assistenza ai più bisognosi, spesso declinate in assistenza sanitaria e sociale: la gestione di Case Famiglia e Mense, la distribuzione di pasti caldi e capi di vestiario, l’accudimento dei malati negli ospedali o nei Pellegrinaggi Nazionali ed Internazionali, l’organizzazione di soggiorni estivi per famiglie bisognose, campi estivi per ragazzi disabili, la gestione di doposcuola per bambini non inseriti socialmente, o l’organizzazione di summer games destinati ai bambini disabili. Alle attività più strutturate si affiancano opere che si esplicano nella continua assistenza di chi ha bisogno, qualunque sia il profilo di tale urgenza, e quando necessario aiuti finanziari per sopperire alle diverse esigenze. L’Ordine di Malta è uno dei pochi Ordini nati nel medioevo ancora attivo. È anche l’unico rimasto che è nello stesso tempo religioso e sovrano. Tale circostanza si deve al fatto che non tutti gli altri Ordini cavallereschi avevano la funzione ospedaliera che lo caratterizza, perché, una volta scomparsa la motivazione militare che li giustificava, è venuta meno la loro ragion d’essere.

L’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme è una delle più antiche Istituzioni della civiltà occidentale e cristiana. Presente in Palestina attorno al 1050, è un Ordine religioso laicale, tradizionalmente militare, cavalleresco e nobiliare. Tra i suoi 13.500 membri, alcuni sono frati professi, altri hanno pronunciato la promessa di obbedienza. Gli altri tra cavalieri e dame che lo compongono sono laici tutti votati all’esercizio della virtù e della carità cristiana. Quello che distingue i Cavalieri di Malta è il loro impegno ad approfondire la propria spiritualità nell’ambito della Chiesa e a dedicare parte delle proprie energie al servizio dei poveri e dei sofferenti.

L’Ordine dei Cavalieri di Malta infatti è sempre rimasto fedele ai suoi principi ispiratori che sono sintetizzati nel binomio “Tuitio Fidei et Obsequium Pauperum“, ovvero la difesa della fede e il servizio ai poveri e ai sofferenti, che si concretizzano attraverso il lavoro volontario di dame e cavalieri in strutture assistenziali, sanitarie e sociali. Oggi l’Ordine è presente in oltre 120 paesi con le proprie attività mediche, sociali e assistenziali. L’Ordine che conserva le prerogative di un ente indipendente e sovrano, ha un proprio ordinamento giuridico, rilascia passaporti, emette francobolli, batte moneta e dà vita ad enti pubblici melitensi dotati di autonoma personalità giuridica.
L’Ordine – la cui sede è a Roma – intrattiene relazioni diplomatiche con oltre 100 Stati in tutto il mondo – molti dei quali non cattolici – cui vanno aggiunte rappresentanze presso alcuni importanti Paesi europei e presso Organismi Europei ed Internazionali. L’Ordine di Malta è neutrale, imparziale e apolitico. Queste sue caratteristiche lo rendono particolarmente adatto ad intervenire come mediatore tra gli Stati. Le attività operative sono gestite dai 3 Gran Priorati, dall’Associazione, da 31 Delegazioni, dal CISOM e dal Corpo Militare.

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Arrivano i “lifers”

La BBC ha recentemente scoperto con un tocco di stupore la categoria degli impiegati che non cambiano mai azienda: The one-company workers who never leave. Si tratta di quei dipendenti che stanno per tutta la vita con lo stesso datore di lavoro. Anche gli americani si sorprendono davanti a quelli che restano inchiodati ad un unico posto per l’intera carriera. Li chiamano “lifers”, il medesimo termine usato nei sistemi carcerari anglosassoni per identificare gli ergastolani, condannati per l’appunto a vita.

È evidente che il caso italiano – in un paese dove il mondo del lavoro è nei fatti tuttora dominato dalla ricerca del posto non solo ‘fisso’, ma inchiodato e bullonato – è molto diverso. La situazione emerge chiaramente dai dati relativi alla permanenza degli impiegati nella stessa azienda, una caratteristica chiamata “tenure” in inglese. Nell’Europa continentale, l’Italia è dietro solo alla Grecia in termini di permanenza media presso lo stesso datore di lavoro: 13 anni rispetto ai 13,3 anni dei vicini greci. La tenure media più breve sul Continente spetta alla Danimarca, 7,7 anni.

È d’uso in Italia – un paese che ama giudicarsi male – supporre che ogni scostamento nei dati nazionali rispetto ad altri stati occidentali rappresenti un difetto del sistema. Non è necessariamente così. La stessa BBC identifica dei benefici che possono derivare dalla lunga permanenza in un’unica sistemazione lavorativa: “Secondo i lavoratori e gli esperti, ci sono due motivi principali perché i dipendenti restano con le loro società ‘a vita’. In primo luogo, certe aziende più grandi sono strutturate in modo da sviluppare, promuovere e tenere a lungo i dipendenti, il che significa che gli impiegati ambiziosi possono aspirare a raggiungere ruoli di livello nella carriera senza mai cambiare datore – e ambiente – di lavoro. In altri casi, gli impiegati potrebbero dare la priorità alla stabilità economica, vedendo il loro percorso come una ‘nicchia’ da occupare fino alla pensione”.

La versione degli inglesi, con l’enfasi prioritaria sull’ambizione, offre una suggestiva – per quanto incompleta – chiave d’interpretazione della ‘variante’ anglosassone. Le aziende anglo-americane spesso cercano attivamente gli ‘ambiziosi’, forse con l’idea che saranno motivati a rendere di più. In Italia invece la troppa ambizione allarma, c’è la percezione che possa essere pericolosa – per sé e per gli altri…

Forse la spiegazione è più semplice. Trovare la stabilità d’impiego nel Belpaese è oggettivamente difficile: e se il posto è una merce ‘rara’ – e dunque preziosa – potrebbe essere davvero il caso di restarci aggrappati per tutta la vita. 

James Hansen per Mercoledì di Rochester

Dis-integrazione

Il Washington Post—di proprietà del fondatore di Amazon, Jeff Bezos, e probabilmente il più “politically correct” dei maggiori quotidiani americani—ha recentemente scoperto, scandalizzato, che meno del due per cento dello sperma nelle sperm banks americane proviene da donatori neri. Ci sarebbe dunque il rischio che i figli di aspiranti mamme nere, senza donatori della stessa razza, possano nascere “troppo bianchi”…

Una volta l’obiezione alla miscegenazione—la mescolanza razziale—era un cavallo di battaglia della destra più bieca. È curioso vedere la preoccupazione sul tema passare dall’altra parte dello spettro politico. L’imbarazzante questione che ne nasce si riallaccia anche al fatto che i neri americani sono, mediamente, già “troppo bianchi”. Secondo un’estesa ricerca apparsa sull’American Journal of Human Genetics: “il genoma dell’afro-americano medio è africano al 72,2%, europeo al 24% e indiano d’America allo 0,8%”.

A complicare ulteriormente la situazione, almeno dal punto di vista ideologico, c’è il problema che a molti neri americani non dispiace affatto la pelle più chiara. È comune tra la popolazione nera femminile l’utilizzo di creme ‘candeggianti’ come la Natural White, l’Ambi Fade Cream ela Clean & Clear Fairness CreamSi stima infatti che per il 2024 l’utile globale generato dalla vendita di questo tipo di prodotti raggiungerà annualmente più di 31 miliardi di dollari.

Così si arriva al glutatione, un composto antiossidante usato in medicina nelle terapie contro il favismo, come antidoto nei casi di sovradosaggio dell’analgesico paracetamolo e per i casi di avvelenamento da metalli pesanti come mercurio e piombo. Ha inoltre l’effetto interessante di contrastare efficacemente la melanina, la sostanza che rende scura la pelle nera, senza che siano state identificate—finora almeno—pericolose controindicazioni. La questione è ben diversa per le creme candeggianti, molto criticate dal punto di vista medico.

Queste novità—che tanto nuove non sono, visto che già nel 2017 il New York Times aveva avuto modo di lamentarsi per “l’incontrollata” espansione dell’utilizzo del glutatione—cambiano le carte in tavola per quanto riguarda il razzismo ‘classico’ basato sul colore della pelle. Sempre più, dunque, la carnagione diventerà una libera scelta…

Il fatto che il ‘popolino’ possa muoversi in ordine sparso per abbracciare la soluzione a un problema—seppure parziale e incompleta—senza attendere le ‘giuste’ misure ideologiche, non è una novità. Né il razzismo stesso finisce qui: la “paura dell’altro” è un sentimento troppo radicato nel carattere umano. Comincia però a esistere la fondata possibilità che, in assenza della pelle ‘sbagliata’, l’umanità dovrà muoversi per scoprire un’altra caratteristica fisica che giustifichi l’odio cieco.

(Nota Diplomatica esce con il sostegno di: iCorporate, MSC Cruises, Class Editori e Telecom Italia Sparkle)

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