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La casa dei sogni

La bambola Barbie della Mattel – la più venduta al mondo – è apparsa sul mercato americano 63 anni fa, nel marzo del 1959. Ha avuto subito un successo enorme, ma per i primi tre anni della sua vita la fashion doll è stata una sorta di senza-tetto. Non aveva una casa propria. La sua Dreamhouse, la ‘casa dei sogni’ di Barbie, risale infatti al 1962. Siamo dunque al sessantesimo anniversario del suo debutto. Nella versione originale non era che un semplice sfondo di cartoncino (vedi l’immagine qui sopra) che rappresentava l’interno di una tipica abitazione della media borghesia americana dell’epoca.

Per quanto la casetta non abbia mai raggiunto le stesse, incredibili, vette commerciali della Barbie – di cui la Mattel ha ormai venduto nel mondo ben oltre un miliardo di pezzi – la Dreamhouse ha comunque avuto un successo considerevole: tant’è che una nuova sua versione, e dunque una fresca reiterazione del ‘sogno americano’, è stata commercializzata ogni anno per gli ultimi sei decenni. L’evoluzione della struttura e del suo arredo è ora anche il soggetto di un libro commemorativo, Barbie Dreamhouse: An Architectural Survey, che esamina le configurazioni di sei ‘annate’: 1962, 1974, 1979, 1990, 2000 e 2021.

La versione 2022 della Dreamhouse, da poco presentata, è alta tre piani ed è composta di cinque locali, un ascensore (funzionante), i mobili, una piscina (che si raggiunge con uno scivolo da un piano superiore), e oltre settanta accessori vari, compresi tra gli altri una postazione da disk-jockey, un barbecue e degli ‘animali’ da compagnia. La casa ha un’altezza di un metro e dieci cm ed è larga 104 cm. Sono opzionali l’illuminazione elettrica e un sound system che, curiosamente, dovrebbe comprendere tra i suoi effetti sonori perfino lo sciacquone del water… Dispone – ‘correttamente’ – di una rampa d’accesso per le bambole disabili, confinate su una sedia a rotelle.

Oltre al fatto che occupa un’immensità di spazio e che “some assembly is required”, la Dreamhouse è anche cara: il listino americano della Mattel fissa il prezzo completo, optional compresi – ma senza bambola – a $340. È però un valore più teorico che reale. Negli Usa si trova ampiamente scontata a ‘soli’ $189, un affare…

Effetti della Pandemia: “La fine dell’Amicizia”

Il filosofo e sociologo tedesco Theodor Adorno (1903-1969), rifugiatosi negli Usa durante la Seconda guerra mondiale, scherzava sull’ossessiva raccolta di dati numerici da parte degli americani, chiamando il paese gli “Statistici Uniti” d’America.

Da allora l’ossessione numerica degli Usa è solo cresciuta. Gli americani raccolgono e analizzano dati su tutto—al punto che, anziché essere un popolo che ‘fa’ tendenza, forse sono semplicemente bravi a identificare le mode passaggere prima degli altri. Comunque sia, l’ultimo trend emerso nel Paese sembra essere che gli statunitensi si piacciono sempre meno…

Secondo dati pubblicati dallo U.S. Census Bureau—l’equivalente nazionale dell’Istatitaliano—a partire dal 2014 ci sarebbe stato un collasso della ‘socialità’ negli Usa. Tra il 2010 e il 2013 il tempo medio passato ogni settimana dagli americani con i propri amici era stabile a circa sei ore e mezzo, essenzialmente lo stesso valore dei due decenni precedenti. Nel 2019 invece il tempo che il cittadino Usa medio passava in compagnia di amici e parenti era calato a solo quattro ore—un crollo del 37% in cinque anni, questo già prima dell’avvento del COVID. Da allora il tempo medio passato in compagnia ‘amicale’ negli Usa è precipitato ulteriormente a solo due ore e 45 minuti alla settimana—una caduta del 58% relativo al periodo 2010-2013.

Per quanto il fenomeno sia presente in tutti i gruppi d’età, risulta particolarmente forte tra i teenager, una popolazione spesso considerata ‘notoriamente’ sociale. Rispetto al periodo 2010-2013, nel 2021 i giovani americani di età compresa tra i 15 e i 19 anni hanno passato settimanalmente circa 11 ore in meno con gli amici—un incredibile calo del 64% in meno di un decennio. 

Da cosa nasca la repentina trasformazione è oggetto di dibattito. La pandemia c’entra, ma il grosso del abbassamento si era verificato ben prima dell’arrivo del COVID. L’ipotesi più accreditata è che il calo dipenda soprattutto da una sorta di sostituzione della compagnia degli altri con quel simulacro di contatto  umano che è arrivato con l’utilizzo di Internet e, specialmente, della telefonia cellulare, la cui penetrazione del mercato negli Usa ha superato il 50% proprio nel 2014.

Fosse così, si tratterebbe comunque più di una constatazione che di una spiegazione. Come mai gli americani hanno imparato, e così in fretta, a preferire il contatto ‘mediato’ con la realtà circostante rispetto a una relazione diretta? Per ora, ogni risposta vale un’altra ed è inutile dilungarsi troppo. C’è piuttosto da chiedersi se lo stesso fenomeno si stia presentando o meno negli altri paesi occidentali—o se la ‘dissociazione’ Usa rappresenti invece una sorta di crisi di nervi nazionale in atto solo in quel paese.

Penitenza: siamo tutti peccatori

Non siamo che esseri umani, e pertanto imperfetti. Negli anni recenti la situazione è addirittura peggiorata con l’invenzione del peccato ‘ecologico’ in aggiunta a quello classico ‘ecclesiastico’.

Era probabilmente inevitabile che emergesse una sorta di sintesi tra le due ‘fedi’, una sintesi che è stata esplicitata in un nuovo e singolare studio dell’Università di Cambridge in cui si chiede alla Chiesa cattolica di tornare a praticare a livello globale  “l’astinenza dalle carni” del venerdì.

Il ‘digiuno’ settimanale era una pratica molto antica del cattolicesimo. Venne formalizzato dal Papa Niccolò I—santificato e ricordato come San Niccolò Magno—verso la fine del IX Secolo, obbligando i cattolici ad astenersi dal consumo per l’appunto delle carni al venerdì come penitenza e in ricordo della crocifissione di Gesù. Restò in vigore fino al Concilio Vaticano II (1962-1965) e all’uscita della costituzione apostolica Paenitemini, che permise ai singoli vescovi di sostituire il costume con altri atti di penitenza, come con la preghiera e le opere di carità.

Nel 2011, dopo una pausa di 26 anni, i vescovi cattolici dell’Inghilterra e del Galles decisero di riesumare la pratica originale, istruendo i fedeli a tornare all’antica usanza. La reazione tra i cattolici del Regno Unito fu ‘mista’, con un livello di adesione di circa un quarto—equivalente, secondo lo studio citato, a una riduzione media pro capite del consumo di carne pari a due grammi alla settimana. Proiettando il pur limitato calo sull’intera popolazione adulta inglese e gallese, i ricercatori calcolano una teorica eliminazione di 46 milioni di porzioni di carne all’anno. Inoltre, secondo gli studiosi, la conseguente trasformazione dietetica eliminerebbe la produzione di 55 mila tonnellate di CO2 annualmente—equivalente al gas serra prodotto da 82,500 voli andata e ritorno tra Londra e New York.

Gli studiosi concludono che: “In termini dell’impatto sulle risorse e sul cambiamento climatico, i nostri risultati sottolineano come una trasformazione dietetica all’interno di un gruppo demografico, anche se costituisce una minoranza sociale, possa avere importanti implicazioni per il consumo e la sostenibilità nell’aggregato”.

Pertanto, “Se il Papa dovesse ristabilire l’obbligo [del venerdì senza carne, ndr] per i cattolici in tutto il globo, o se i vescovi in altri paesi dovessero scegliere di seguire l’esempio dei prelati inglesi e gallesi, allora l’impatto potrebbe essere maggiore di molti ordini di grandezza. Per esempio, se solo i vescovi cattolici degli Stati Uniti aderissero al progetto, allora i benefici sarebbero probabilmente 20 volte maggiori di quelli ottenuti nel solo Regno Unito”.

A occhio e croce, i vescovi americani, pur preoccupati come tutti per il cambiamento climatico, non ci pensano neanche lontanamente. Ci vorrebbe un ritorno ai tempi dei miracoli…

Quanto pesa l’incapacità calcistica della Cina

La Cina, per quanto al momento appaia in una fase di ‘ri-chiusura’ rispetto al mondo esterno, negli ultimi decenni ha fatto enormi—per non dire incredibili—passi in avanti economici, scientifici e in molti altri campi. Ha però anche ‘bucato’ qualcosa: dal punto di vista calcistico non è mai valsa una cicca.

È un problema molto sentito nel paese ‘del Drago’, con riflessi anche politici. Tempo fa, Nancy Pelosi—la ‘Speaker’ della Camera dei rappresentanti Usa, capo del Partito Democratico e, per acclamazione universale, la donna più potente della politica americana—ha pensato di fare visita a Taiwan, provocando l’ira di Beijing che ha ruggito minacce di fuoco e fiamme se non avesse rinunciato  al viaggio.

La Pelosi c’è andata lo stesso, e non è successo niente, ma l’episodio non è passato inosservato all’interno del Paese, dove l’accaduto—o meglio, il non accaduto—è stato pubblicamente paragonato con scherno ai risultati pressoché inesistenti regolarmente ottenuti dalla Nazionale di calcio cinese: tanto fumo e mai un grammo di arrosto.

Prendendo il caso dei Mondiali, la Cina ha partecipato per la prima volta alle qualificazioni nel 1958, venendo subito eliminata dall’Indonesia; si è poi finalmente  qualificata (l’unica volta) alla fase finale del Mondiale 2002, uscendo però al primo turno dopo essere stata sconfitta dal Costa Rica. Nella classifica mondiale della FIFA, la Cina vanta quale miglior piazzamento il 37º posto del dicembre 1998, mentre il peggiore è  rappresentato dalla 109esima posizione fatta registrare nel marzo 2013. Al momento occupa il 75º posto del ranking internazionale.

Neanche gli Usa vantano una grande tradizione nel gioco del calcio—ma è una disciplina che comincia solo ora a radicarsi nel paese e i risultati perlopiù scarsi ottenuti nelle competizioni internazionali non sorprendono nessuno, tanto meno gli americani. In Cina, invece—dove la rappresentativa calcistica nazionale è attiva dal 1913—è uno sport molto sentito, e anche il più misero villaggio ha il suo campetto e la sua squadretta.

L’incapacità calcistica a livello internazionale è estremamente imbarazzante per il Paese e il Governo è stato addirittura costretto a ‘importare’ commissari tecnici stranieri dai paesi più avvezzi alla vittoria come, dall’Italia, Marcello Lippi e, brevemente, Fabio Cannavaro, sperando invano che qualcosa della magia italiana col pallone restasse ‘attaccata’. Invece, niente.

Il perché di tutto ciò è un mistero. Gli atleti cinesi sono di indubbio valore in molti campi—tranne in quello che forse più importa alla massa della popolazione. Dopo la recente ‘incoronazione’ di Xi Jinping come dominus assoluto e Presidente—a questo punto, presumibilmente ‘a vita’—della Repubblica Popolare Cinese, a Xi manca un solo passo per entrare a pieno titolo nella storia più che millenaria del suo Paese: un decente risultato calcistico…

Certe isole “imperiali”…

È d’uso, specialmente a sinistra, definire gli Usa un ‘impero’. La descrizione cozza con il significato convenzionale del termine, ovvero “un organismo politico con a capo un sovrano che porta il titolo di imperatore, formato da altre entità statali (regni, principati, nazioni ecc.), tutte subordinate all’autorità centrale”.

Tralasciando l’aspetto poco ‘imperiale’ di Biden, Trump et al., il vero problema con la definizione è quello dell’estensione territoriale, dato che gli Usa sono un paese decisamente ‘unitario’ dal punto di vista geografico. Tuttavia, gli Stati Uniti possiedono direttamente dei piccoli (perlopiù piccolissimi) ‘territori d’oltremare’. Il più grande di questi—l’unico di dimensioni ragguardevoli—è l’isola di Puerto Rico. Ha una popolazione di 3,3 milioni ed è situata nell’Oceano Atlantico ai margini dei Caraibi, come anche le Isole Vergini Americane (popolazione 87 mila). Gli altri territori, sempre delle isole, sono invece nel Pacifico: Guam (popolazione 154 mila), le Marianne Settentrionali (47 mila) e le Samoa Americane (50 mila).

Oltre alla comune nazionalità, tutti questi piccoli territori sparsi sono uniti da un’altra caratteristica condivisa: la popolazione in forte calo—e non è evidente quale sia il motivo. In due casi, quelli delle Isole Vergini e delle Samoa americane, esiste un ‘gemello’ vicino con cui fare un paragone immediato: le Isole Vergini Britanniche e le Samoa indipendenti. Tra il 2010 e il 2020 le Isole Vergini Americane hanno perso il 18% degli abitanti, mentre la popolazione delle Isole Vergini Britanniche è cresciuta del 9%. La popolazione delle Samoa Americane è calata dell’11%, mentre le Samoa indipendenti hanno guadagnato il 7%…

Neanche gli Stati più sciagurati degli Usa continentali—West Virginia, che perde il 3,2% della propria popolazione, e Mississippi, che ne perde lo 0,2%—arrivano a tanto. E comunque, nell’insieme, la popolazione degli Usa—che va verso i 334 milioni —continua a crescere.

Cos’hanno quelle misere isole americane rispetto alle vicine che invece parrebbero godere di piena salute? È pericoloso affidarsi a una sola, semplice spiegazione, ma un fattore comune salta agli occhi: le isolette Usa—con la sola e limitata eccezione di Puerto Rico—non contano un ‘cavolo’.  Sono distanti, invisibili e insignificanti dal punto di vista politico e mediatico.

Il fatto è che il loro declino parrebbe avere molti punti in comune con quello dello sterminato e quasi vuoto interno degli Stati Uniti—la zona di infinite pianure, deserti e boschi che gli abitanti delle due ricchissime coste del Paese descrivono con sufficienza come “fly-over country”, cioè ‘territorio da sorvolare’ mentre si passa da una costa che conta all’altra…

Sinteticamente, i territori isolani americani sono in crisi molto probabilmente perché, in una nazione governata essenzialmente secondo criteri economici e di cui oltre l’80% della popolazione è ‘urbanizzato’, è come se fossero funzionalmente ’rurali’.  Varrebbero quindi poco o niente e non se ne cura nessuno.

fonte Nota Diplomatica*

*Nota Diplomatica esce con il sostegno di: iCorporate, MSC Cruises, Class Editori e Telecom Italia Sparkle

Un uovo per predire il futuro

L’ovomanzia – oppure ‘oomanzia’ per chi preferisce l’ortografia arcaica – è una delle più antiche tecniche utilizzate per prevedere il futuro. La divinazione non è più molto praticata a livello popolare, soprattutto dopo essere stata largamente rimpiazzata dalla presunta razionalità dell’analisi statistica. La semplice verità però è che un dato evento che ha una ‘probabilità’ del 75% di verificarsi, in fin dei conti o succederà o non succederà, lasciandoci effettivamente nella stessa incertezza di prima. Tanto vale allora rivolgerci alle uova – l’ovomanzia per l’appunto – per conoscere in anteprima ciò che sta per succedere.

Le uova, con l’anomala perfezione estetica che le caratterizza e il contenuto altrettanto misterioso, sono da sempre una rappresentazione della fertilità e della riproduzione. Non sorprenderà dunque il fatto che storicamente siano state spesso utilizzate nei riti di divinazione condotti per dipanare le incertezze relative alle nascite e ai matrimoni. Già lo storico romano Svetonio raccontò dell’Imperatrice romana Livia Drusilla – la moglie dell’Imperatore Augusto – che avrebbe ‘incubato’ un uovo di gallina tra i suoi seni – si suppone molto ampi – per poter scoprire dal sesso della chioccia quello del bambino nascituro che lei portava in grembo.

Il metodo è ormai largamente superato dalle scansioni a ultrasuoni e comunque dev’essere stato un po’ scomodo da eseguire. La tecnica più utilizzata, e facilmente praticabile ancora oggi, è quella di prendere un uovo fresco, di bucarlo sulla punta e di far gocciolare il bianco in un bicchiere di acqua molto calda. L’albume, coagulandosi, assume delle forme idealmente riconoscibili che possono essere analizzate ‘a occhio’ per fare le necessarie previsioni.

Secondo gli antichi manuali, il metodo – detto ‘lo specchio di Venere’ – serviva alle vergini ancora da maritare per conoscere in anticipo qualcosa sul futuro marito: “Se il bianco, coagulandosi, assumeva la forma di un aratro o di un cavallo, allora il marito poteva essere un contadino. Se appariva piuttosto una fortezza, allora poteva essere un soldato. Se invece appariva un forma simile a una barca, in quel caso lo sposo poteva essere un pescatore o un marinaio”.

Il bello del metodo – molto scarsamente ‘scientifico’ – è che permette di proiettare, attraverso l’interpretazione soggettiva di forme astratte, i propri desideri sul futuro. Basta con la sterilità della ‘mera’ matematica statistica…

Confindustria prende le distanze dal Governo

Foto tratta dal profilo Twitter del Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, Busto Arsizio, 3 Ottobre 2022. TWITTER/CARLO BONOMI +++ATTENZIONE LA FOTO NON PUO' ESSERE PUBBLICATA O RIPRODOTTA SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELLA FONTE DI ORIGINE, CUI SI RINVIA+++NPK+++

Noi non tifiamo nè per uno e nè per l’altro. Proponiamo le misure e giudichiamo cosa viene fatto”. Lo ha detto il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, nel corso dell’assemblea degli industriali di Varese. 

“Non possiamo permetterci immaginifiche flat tax e prepensionamenti. Non vogliamo negare ai partiti di perseguire le promesse elettorali ma oggi energia e finanza pubblica sono due fronti emergenza che non possono ammettere follie per evitare l’incontrollata crescita di debito e deficit”. 

“Ci auguriamo la formazione di un Governo nei tempi più rapidi possibile. Ci auguriamo un Governo con ministri autorevoli, competenti e inappuntabili”, ha spiegato Bonomi. 
“Nessuno oggi può fare previsioni realistiche sulla crescita e sugli effetti del rialzo dei prezzi dopo la scelta scellerata dei russi. Serve da parte del Governo una generale vasta convergenza sulle scelte, anche con le forze di opposizione. C’è bisogno di serietà, unità e responsabilità su energia e finanza pubblica”. 

“Sull’energia serve una Europa che condivida gli sforzi. Non si può essere uniti sulle sanzioni e poi sull’energia divisi lasciando che ogni Paese si muova autonomamente. Sull’energia l’Italia non può farcela da sola”, ha detto il presidente di Confindustria.

La Russia si annette le regioni ucraine

Una volontà di autodeterminazione sancita con i presidi militari davanti ai seggi elettorali sembra poco credibile. Ma tanto è bastato per il Cremlino per annettersi le regioni ucraine di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia. Oggi pomeriggio alle 14 la cerimonia ufficiale di annessione con la firma dei trattati da parte del leader russo Vladimir Putin.

Secondo i risultati diffusi dalle autorità filo-russe al termine dello spoglio, tra l’87,05 e il 99,23% degli elettori nei territori parzialmente controllati dalle forze russe nell’Ucraina orientale e meridionale ha sostenuto l’annessione alla Russia.

La reazione non è tardata ad arrivare, però. I referendum, infatti, sono stati bollati come una ‘farsa’ dal mondo occidentale: Nato, Ue e Usa hanno già detto che non hanno alcuna intenzione di riconoscerli. Durante l’evento, che si svolgerà nella sontuosa sala San Giorgio del Gran Palazzo del Cremlino, Putin pronuncerà un discorso “importante”, ha annunciato la Presidenza russa. 

Mosca, in quella che rischia di essere una ulteriore escalation del conflitto, ha assicurato che difenderà la sua sovranità, compresa la Crimea e i nuovi territori che potrebbero diventare parte della Federazione.

“Alcuni politici americani resteranno delusi se pensano che la nostra disponibilita’ a difendere il nostro territorio non si applichi alla Crimea o ai territori che potrebbero diventare parte della Russia sulla base di una libera espressione della volontà popolare”, ha avvertito l’ambasciatore russo negli Usa, Anatoly Antonov.

“Non stiamo minacciando nessuno, ma confermiamo che, come ha affermato il presidente Putin il 21 settembre, la Russia è pronta a difendere la sua sovranità, integrità territoriale e il suo popolo con tutti i sistemi d’arma a disposizione“.

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha convocato una riunione urgente del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale che si terrà nelle stesse ore della cerimonia a Mosca.
Putin ha accusato i Paesi occidentali di cercare di scatenare un sanguinoso massacro nella Comunita’ degli Stati Indipendenti (Csi).

A suo dire “ciò viene fatto per impedire la formazione di un ordine mondiale più giusto” e “l’Occidente sta cercando di riaccendere vecchi conflitti, creando nuovi problemi e crisi”. Ma, ha avvertito Putin, secondo il quale la guerra in Ucraina è figlia del collasso dell’Urss, “l’egemonia unipolare sta inesorabilmente crollando e questa e’ una realta’ oggettiva che l’Occidente rifiuta categoricamente”. (fonte AGI)

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